MIMMO LOCASCIULLI

Quello che ci resta

di Maria Laura G. Giulietti

 

Ennesimo nome uscito dalla "scuola" del Folkstudio fine anni sessanta - inizio anni settanta, Mimmo Locasciulli non ha niente da invidiare agli amici più celebri quali Antonello Venditti o Francesco De Gregori e questo suo album lo dimostra ampiamente: una voce che non ha grandi voli, una musica che segue una linea precisa e semplice, una ispirazione spesso davvero intelligente.

Sebbene io non sia una grande ammiratrice dei cantautori standard Mimmo Locasciulli mi ha intrappolata più volte all’ascolto e sono sicura che se la sua casa discografica (la RCA) decide di aiutarlo riuscirà ad entrare nel cuore di molti. In questo disco non ci sono falsi messaggi, pretese furbe, ma una sottile vena pessimista, e più che pessimista direi delicata, soffice, forse infantile, un cantare con impeto anche se le parole vengono sospirate. E poi le storie: il padre, la figlia di Pietro, Teresa dai riccioli d’oro ("Dove va la stagione"); il fiume e la sua magia di corsa ("Al fiume"); il peccato di Nadia e della sua ingenuità ("Canzone per Nadia"); il nonno che torna dall’America ("Canzone a mio nonno "); l’amore ("Il rosso del mattino"); la gente con la miseria e la crudeltà ("La mia gente se ne va "). Immagini serene o crude, timide o spregiudicate che ben si legano alla musica dove Locasciulli è coadiuvato da ottimi musicisti: da Andrea Carpi (al quale do la precedenza per la stima che nutro per lui) ad Enrico Pierannunzi, alla chitarra il primo e al piano il secondo; quindi Fabrizio Cecca, Stefano Ciacci, Roberto Gatto e Dante Gaudiomonte, quindi lo sconosciuto sassofonista di "Canzone per Nadia"

Un disco non innovativo ma fiabesco, forse incantato.

Ciao 2001 – 26 Marzo 1978 - n° 12

 

 

MIMMO LOCASCIULLI

Quello che ci resta

Mimmo Locasciulli è un personaggio abbastanza familiare nel giro musicale romano, che credo frequenti ininterrottamente da almeno cinque - sei anni.

Non è difficile infatti trovarlo nei vari localini off della capitale dove sì esibisce, spessissimo accompagnato dall’amico musicista Andrea Carpi.

In uno di questi ritrovi, probabilmente il più famoso, il Folkstudio, Mimmo trova nel 1975 la fiducia e l’aiuto necessari per dare alla luce il suo primo L.P. " Non rimanere là" e allargare così la cerchia dl quelli che apprezzavano le sue cose.

Devono passare però tre anni e diverse difficoltà perché esca la sua seconda fatica, appunto "Quello che ci resta" per la RCA. Il disco è senza dubbio meglio curato del primo (tutta un’altra organizzazione!); si sente la ricerca di un suono più completo di una musica che non sia solo supporto dei testi ma parte importante e piena. Ecco quindi giustificata la presenza di una serie di musicisti, anche di grosso peso, come Enrico Pierannunzi, Roberto Gatto, Giancarlo Maurino, sicuramente un po’ spaesati in atmosfere tanto diverse da quelle che di solito frequentano, ma altrettanto sicuramente utilissimi con la loro professionalità e preparazione musicale. Il risultato generale non è disprezzabile. Le musiche intessute da Locasciulli sono piacevoli, serene. Delicate ballate senza pretese ma con quel fascino sottile delle cose semplici e nostre. Musiche che si adattano perfettamente ai testi, sottolineandone i momenti più belli e creando atmosfere soffici e calde. Le parole sono state scritte senza grossi intenti di lanciare proclami o di dare messaggi, ma cercando di portare a conoscenza piccole esperienze, comuni a tutti, mediate dalla sensibilità e dalla creatività propria. Immagini di campagna tranquilla, un’alba, un addio, la tristezza per la vicenda di un’amica, l’ammirazione per Il personaggio del proprio nonno, ormai spento dall’età, è tutto ciò che troverete in questi solchi, ma li troverete raccontati con misura dalla voce, a volte poco curata e indecisa, ma bassa e piacevole di Mimmo Locasciulli