Series Of Songs

MIMMO LOCASCIULLI

Il Futuro

di Cico Casartelli

 

Stabilito che chi scrive prova un debole per i dischi di Mimmo Locasciulli, cantautore, anzi cantastorie (certo una definizione che lo troverà concorde) fra i più capaci del panorama italiano, rileviamo subito quanto questo nuovo Il Futuro sia un lavoro sorprendente, ancor più se si è sempre trattata la materia delle cover tradotte (la stirpe è quella che parte da Celentano, dai Dik Dik o giù di lì) con diffidenza, salvo le eccezioni imposte da Fabrizio De André, Francesco De Gregori e Massimo Bubola.

Il disco, infatti, vede il musicista abruzzese impegnato con traduzioni di brani d’artisti che già a nominarli incutono soggezione, girando in ogni caso all’ascoltatore più di una sorpresa. Prima però segnaliamo i due originali presenti, Stella di vetro e Come viviamo questa età, degni del songbook oramai cospicuo di Locasciulli, soprattutto per ciò che concerne il primo, piccolo gioiello folk di rara bellezza. Le riletture, quindi, tutte riuscite con l’unico dubbio per Andiamo verso il niente / Road to nowhere dei Talking Heads, forse appesantita da un arrangiamento vocale poco brillante, anche se è poca cosa davanti a Il Futuro /The Future di Leonard Cohen, Sono i soldi che amo / It’s Money That I Love di Randy Newman, China la testa / Hang Down Your Head di Tom Waits, Storia di una bottiglia / A Rum Tale dei Procol Harum, Vita da scemo / How To Be Bumb di Elvis Costello e Il cielo era lì / Heave Stood Still di Mink De Ville.

Il meglio giunge però quando s’arriva alla soglia di nomi quali Neil Young e Bob Dylan: del primo ecco Powderfinger, leggendario pezzo scritto per i Lynyrd Skynyrd (che però non lo incisero) cantato con l’amico di una vita, Francesco De Gregori; del secondo la scelta è ardua e vincente, in quanto Una serie di sogni /Series Of Dreams rispetta tal capolavoro e ne fa apprezzare la bellezza di testo e musica.

In conclusione, quel che traiamo da Il Futuro è la voglia di tributare coloro che hanno ispirato il cammino di Locasciulli, ma anche quella di lasciare un’impronta su brani che, una volta ascoltati, hanno iniziato a far parte della vita di chi ne ha capito significati più o meno reconditi. Il fatto è che il Nostro ha semplicemente pensato a una serie di canzoni, casualità che gli è riuscita oltremodo bene.

Il Mucchio – 13/5/98

L’isola che non c’era – Anno III n° 10- Maggio 1998

 

MIMMO LOCASCIULLI

Il Futuro

di Andrea Carpi

 

Al fenomeno delle cover band italiane, intente a riproporre fedelmente il repertorio storico del proprio gruppo preferito, era dedicata la copertina dello scorso numero di Chitarre. Ad un programma di cover, intese però in un’ottica diversa, è consacrato l’ultimo disco di Mimmo Locasciulli, Il Futuro: in questo caso ci troviamo di fronte a versioni italiane di pezzi stranieri, un po’ come si faceva soprattutto negli anni sessanta, anche se non è più il tempo in cui i Dik Dik potevano permettersi di tradurre "We skipped the light fandango/Turned a white across the floor" con "Ho spento già la luce / Son rimasto solo io". Oggi, per ottenere la "licenza di cover", occorrono fior di approvazioni da parte degli autori: il più severo sembra che sia stato Neil Young, che ha preteso di mantenere il titolo originale "Powderfinger" e ha rispedito il fax con la proposta di traduzione pieno di osservazioni; ma anche gli altri hanno vigilato sulla qualità della versione italiana: Tom Waits, Randy Newman, Elvis Costello, Willy De Ville, David Byrne dei Talking Heads, Gary Brooker dei Procol Harum, Bob Dylan e Leonard Cohen, questi ultimi due tradotti per l’occasione da Francesco De Gregori (che in un brano è anche riconoscibile al canto, a dispetto dei fuorvianti ed ironici crediti di copertina). Dal punto di vista musicale, le reminiscenze suggerite dalle canzoni danno spazio ad altre reminiscenze, così che alle atmosfere inevitabilmente evocate dalle versioni originali si mescolano citazioni tratte dal periodo beat, dai Beatles, Donovan, Dire Straits ed altri: gli arrangiamenti dell’album acquistano originilalità da una sorta di composizione patchwork, che riflette a certi livelli il complessivo percorso artistico di Locasciulli, nella sua incessante ricerca di un’identità stilistica attraverso il personale assemblaggio di tanti elementi raccolti con amorevole cura e studio nel corso degli anni: una ricerca che, con Il Futuro, sembra aggiungere un nuovo tassello alla più generale ricerca di un’identità di linguaggio da parte della canzone italiana contemporanea, in particolare nei confronti dei "maestri" anglosassoni.

In questa indagine Locasciulli è coadiuvato tra gli altri da Paolo Giovenchi, un interessante chitarrista che mi permetto di segnalarvi, perché sa coniugare felicemente versatilità, conoscenze stilistiche e idee originali. In definitiva un ottimo lavoro "storico", adatto per padri e figli, chitarristi compresi.

Chitarre - Ottobre 1998

 

DYALN, COHEN , WAITS , COSTELLO nel nuovo album di MIMMO LOCASCIULLI

"IL FUTURO"

di

Michele Mondella

(Roma, Maggio 1998 Ufficio Stampa MIDAS)

 

A parte due nuove canzoni , "Stella di vetro" e " Come viviamo questa età" è soprattutto un album di cover straordinarie quello che Mimmo Locasciulli ha ultimato nel suo studio Hobo Recording alle porte di Roma.

L’album è stato pubblicato con il titolo "Il futuro" da "The future", canzone di Leonard Cohen che Francesco De Gregori ha tradotto in modo rigoroso cosi’ come "Series of Dream" di Bob Dylan che è diventata semplicemente "Una serie di sogni"; tutti gli altri testi in italiano portano la firma di Locasciulli e sono il frutto di un lavoro lungo e meticoloso che ha avuto come principale obiettivo quello di restituire non solo il puro significato , ma anche il senso del "clima" generale dei contenuti e delle stesure originali. Oltre a Dylan e Cohen sono stati rivisitati Tom Waits ("Hang Down Your Head"/"China la testa"), immancabile punto di riferimento nell’ intera cariera dell’ artista abruzzese ; Elvis Costello (How to be Dumb"/ "Vita da scemo"), Mink De Ville (" Heaven Stood Still"/ "Il cielo era li"), Neil Young (" Powederfinger"). Ma oltre a questi grandi nomi della canzone d’ autore, c’è anche spazio per l’ironia rock-blues di Randy Newman ("It’s Money That love"/ "Sono i soldi che amo"), o per vere e proprie sorprese come la riscoperta dei Procol Harum ("A Rum Tale"/ "Storia di una bottiglia") e la proposta di una elettrizzante versione di "Road To Nowhere" ("Andiamo verso il niente") dei Talking Heads di Davyd Byrne. In definitiva una buona parte dei maestri ai quali Locasciulli ha sempre guardato con la curiosità e la passione di un vero cultore e che oggi ha voluto riunire in un album godibilissimo che rappresenta il suo personale tributo.

"E’ un po’ come tornare alle origini, ai tempi del Folkstudio, quando sulle chitarre acustiche ci sovrapponevo quelle elettriche oppure aggiungevo l’organo Hammond al pianoforte… "

Genesi di un album di cover. Un lavoro terribilmente complicato se lo si affronta con la serietà di un ricercatore, la pazienza di un musicologo, la pignoleria di uno studioso di semantica, la curiosità di un antropologo, la fedeltà di un traduttore rispettoso.

Mimmo Locasciulli lo ha fatto: "Il Futuro", è praticamente la sua seconda tesi di laurea, e se questa merita la lode e la pubblicazione lo dobbiamo al fatto che agli studi lunghi e rigorosi Mimmo è abituatissimo, come tutti sanno.

Oggi realizzare delle belle cover è quasi una scienza: non è più il gioco semplice raccontato dai protagonisti del beat italiano che la notte si sintonizzavano su Radio Luxembourg e la mattina dopo entravano in sala di registrazione con il nastrino della canzone "rubata" che di lì a poco sarebbe diventata un successo con parole che da "We skipped the light fandango, turned a white across the floor" diventavano "Ho spento già la luce, son rimasto solo io" (da "A whiter shade of pale" / "Senza luce" dei Procol Harum / Dik Dik).

Storie di oltre trent’anni fa. Oggi occorrono fior di approvazioni dagli autori originali e guai a concedersi delle libertà, come lo stesso Locasciulli racconta: "Il più esigente è stato Neil Young. Gli ho mandato il fax con la traduzione della mia versione, cosa che ho dovuto fare con tutti, e mi è tornato indietro con ventuno sottolineature a rimarcare le differenze con la versione originale. In un punto avevo scritto "..e ventuno anni ancora non ce l’ho.." al posto di "..ho appena compiuto vent’anni..". Niente, non voleva proprio passarmela; tra l’altro ha voluto che il titolo rimanesse lo stesso "Powderfinger".

Dunque era necessario non solo entrare nel mondo di autori come Leonard Cohen, Bob Dylan, Tom Waits, Randy Newman, Elvis Costello, Willy De Ville, David Byrne, Gary Brooker, ma soprattutto impossessarsi dei loro strumenti espressivi, della loro tecnica poetica per cercare di riprodurla nel più corretto dei modi.

Per ottenere questo risultato Locasciulli ha studiato ogni singolo artista in profondità, ne ha ascoltato tutto il repertorio - anche il meno conosciuto -, ha cercato, quando possibile, di incontrarli personalmente. Tutto questo non deve far comunque pensare ad una sorta di omaggio passivo, ad una qualche forma di sottomissione a certe regole per poter ottenere le relative "licenze di cover".

"Certo, il sì o il no dipendono sempre da come la tua sensibilità filtra la loro arte, da come riesci a fondere la tua espressività con la loro, insomma se gli piace quello che fai.

Mettiamola così: io mi sono avvicinato con lo spirito di un uomo che in tanti anni ha costruito la sua casa, ci ha messo dentro i mobili che gli piacevano, quel quadro, quel tappeto, si è affezionato a quella crepa nel muro, al rubinetto che fischia, e poi ha deciso di andare in casa di altri per riportare qualche idea dentro casa sua e fonderla con il proprio ambiente. Insomma, il rapporto non può essere a senso unico: puoi prendere, ma devi restituire con gli interessi, che in questo caso sono il senso del tuo mondo, della tua appartenenza".

Mimmo Locasciulli alle cover, come lui stesso dice, è avvezzo: ne fece già una di Tom Waits con Enrico Ruggeri ("Foreign affairs"); in tutta la sua produzione ci sono, qua e là, delle citazioni che sono quasi dei quiz per esperti (quella frase di chitarra identica a quella canzone dei Byrds, quelle tre note di pianoforte che rimandano ai Procol Harum, e via dicendo), e chiunque abbia assistito alle prove di un suo concerto sa che il "sound check" dei suoi microfoni e dei suoi monitor è da sempre affidato ad una sua sua spericolata versione di "Sign on the window", di Bob Dylan.

Insomma, questo disco prima o poi sarebbe arrivato. Meno scontato è il repertorio scelto, dal momento che se Dylan, Waits, Newman e Costello sono passaggi obbligati ("Sono i miei padri, i miei maestri, quelli che hanno maggiormente foraggiato il mio bagaglio tecnico e la mia cultura musicale"), altri nomi sorprendono come i Procol Harum ed i Talking Heads ("Ad un certo punto ho avuto paura di fare un album un po’ monocorde, troppo orientato verso il classico rock d’autore americano, anche perché nel disco dovevano essere presenti anche brani di Bob Seeger, Tom Petty, Paul Simon. Così ho voluto diversificare le atmosfere, recuperando un po’ della cultura beat – Procol Harum- o confrontandomi con una delle più geniali ed innovative rock band degli anni 80 come i Talking Heads"). E sorprenderà poi sapere che proprio il brano di Leonard Cohen ("Il futuro") è arrivato quasi per caso dopo che Locasciulli lo aveva ascoltato in uno spot pubblicitario senza nemmeno capire, lì per lì, chi fosse l’interprete.

E le canzoni firmate da Locasciulli, come arrivano in questo disco, anche loro per caso? "In un certo senso sì. Una ("Come viviamo questa età") è una cover di me stesso perché si tratta di una canzone scritta alcuni anni fa per Gigliola Cinquetti; l’altra ("Stella di vetro") è l’unica rimasta tra quelle che stavo scrivendo per un nuovo album, prima che arrivasse l’idea delle cover. Vuol dire che le altre le ascolteremo nel prossimo CD".

Qual è la critica a questo disco che Locasciulli riterrebbe più ingiusta?

"Se si dicesse che è un disco presuntuoso: è proprio l’esatto contrario".